Un Altrove Ecosostenibile

di Ginaski Wop

(apparso su la rivista C magazine nel 2014 credo, ripubblico qui e poi chiedo il permesso a Ginaski)

Federico Bonelli è un romano quarantaquatrenne con una folta barba castana e capelli lungi che undici anni fa ha deciso di emigrare in Olanda. Abita ad Amsterdam, ma non si fa le canne.

Nei suoi innumerevoli viaggi affronta caselli ed autostrade a bordo del suo furgone Citroen Jumper 1.9 D del ‘97 , ma non è un hipster. Federico Bonelli è un filosofo, scrittore, regista e creativo, e senza prendersi troppo sul serio è il fondatore dell’Altrovìsmo, movimento/pensiero oltranzista. Da due anni organizza ed autofinanzia in un paesello siculo, Montalbano, una rassegna di arte ecosostenibile intitolata “Trasformatorio” di cui da poco si è conclusa la prima edizione.

Bonelli sta rientrando in Olanda, sempre a bordo del suo epico Jumper. Ci incontriamo in terra di transito e confine: Villa San Giovanni, in uno scenario altrettanto epico fra libeccio e le correnti di Scilla e Cariddi. In un bar fatiscente mangiamo arancini artigianali e beviamo vino rosso e Federico racconta la sua visione di arte eco-sostenibile e spiega dove si collochi e come si articoli un Altrove, che non è certo roba da cervello in fuga o da emigrante nostalgico che piange su canzoni di Mino Reitano e Toto Cutugno mangiando pizza margherita in un take away della “sua” Berlino, Madrid, New York o chissà quale altro luogo del globo.

Altro che cervelli in fuga…

“L’altrove e’ una categoria interiore. Pretendere che si abbia bisogno di un posto specifico per “essere altrove”, inquadrarlo con categorie e aspettative consumiste non ha senso. E’ comunque necessario portarsi fuori, quando una situazione da se stessa, con il suo rumore, con la sua stupidità, assorbe tutta la tua energia. Questo vorrei spiegare a bastonate alle oramai decine di ragazzi che mi cercano per chiedermi una mano ad emigrare. L’altrove, per me, arriva come una risposta radicale al concetto di fuga, in particolare a quella nozione di “cervello in fuga” che mi provoca l’orticaria, con il suo intrinseco avvertimento mafioso. Portarsi altrove non e’ fuggire. E’ un modo di combattere. L’altrove e’ la mesa grande, dove l’aria e’ più pura e dove i nemici se vengono a cercarti diventano puntini ben visibili nel traguardo del tuo fucile. Altrove è il luogo dell’anima da cui puoi creare nel mondo. Ognuno ha il suo. Può essere anche una soffitta in centro a Palermo o un monolocale a Segrate. Murakami ha scritto libri in un appartamento del Tuscolano negli anni ’80. Se c’e’ riuscito lui, noi non abbiamo scuse. L’altrove può essere ovunque.”

Perché un Altrovìsta in “bolletta” si autofinanzia e produce incontri culturali ecosostenibili nel Sud Italia? Sei intimamente slave o sei sospinto da quale sentimento?

(ride) … sto’ cercando l’Altrove!
Al di la della battuta ci sono due motivi: il primo è il metodo. Seguo le coincidenze significative e le coincidenze mi hanno riportato in Sicilia. Mia madre vendette nel 2005 l’ultima particella di terra siciliana degli antenati a un cugino e mi diede i pochi soldi che aveva fruttato dicendomi: “quel documentario che sono anni che vuoi girare, sul futurismo siciliano, ecco, prendi questi soldi e fallo!”. Io volevo intervistare un professore, Peppino Miligi, di cui avevo saputo per caso, oramai anziano, che conosceva tutto sui futuristi. E così scesi in Sicilia con un cameraman per riprendere questa intervista. Lui era di Montalbano. Anni dopo mi scrisse che “aspettava di vedere con me il panorama dell’Etna da Montalbano”. Fu l’ultima notizia che ne ebbi perché morì. Però mi invitarono a Montalbano per un convegno a due anni dalla morte e feci vedere parti dell’intervista, mi innamorai dei luoghi, scoprii il castello, tante belle persone pulite… in fondo arrivai al luogo dove far nascere il Trasformatorio per coincidenze significative. E poi al sud c’è tutto. Sole, energia, persone belle, cibo, la calma, il mare. C’è solo la peggiore classe dirigente di sempre. Se ve ne liberate siete a cavallo!
L’idea di performance ecostenibili rinnova di fatto il concetto di spazio. Non hai bisogno di palchi, luci, sipari, camerini, travi… Vale a dire che, utilizzando lo spazio Naturale della location non c’è bisogno di occupare spazi in particolare per dare libero sfogo alla creatività.

Dunque: Meglio un teatro libero che un teatro okkupato?

Sono cose diverse… (sorride avendo colto in pieno il mio riferimento ai “fatti” del Valle a Roma – NDA) in entrambi i casi si dimostra che per FARE è ormai necessario liberare. Chi occupa un teatro costruisce un altrove di tipo diverso. Temporaneamente si rapporta a un pubblico il più largo possibile con il miglior programma culturale che può offrire per esigenza interiore. Vive un’utopia. Io sono per l’occupazione dei teatri e pure dei municipii!

Però a me interessa un altro tipo di approccio per ottenere in definitiva un profumo di libertà simile: uscire dalla situazione chiusa e portare magari persone a camminare in un bosco di notte prima di sentire una storia. Disegnare la mia scenografia per il chiaro di luna. E’ una questione di strategie differenti, con cui alimentare ricerche che partono dallo stesso posto “al plesso solare” come diceva Andrea Pazienza giocando a fare Mishima.

Un’esigenza di libertà creativa da ottenere a un prezzo specifico e personale. Benvenuti. Contro tutti a ciascuno il suo. Percio’ con i teatri e chi li occupa io voglio condividere la rete, aiutare e farmi aiutare. Contaminarmi…

Se un mafioso, incuriosito da quanto vede durante una tua rassegna, dovesse avvicinarsi dicendoti: “Sig. Bonelli, mio figlio sogna di fare l’attore… U facimu lavurari?! tu come reagiresti? – Inoltre so di una tua provocante “visione” relativa ad una mafia ecostonebile.

Difficile: non ho soldi, non ho potere nell’industria culturale e non ho lavoro da dare; per un mafioso o per un politico che si “occupa” di cultura non sono interessante. Neppure porto voti perché vivo all’estero. Il “tuo” mafioso che ha ormai accesso preferenziale alla fiction di canale 5 o della RAI, che può andare dal direttore di un teatro stabile, perché dovrebbe perdere tempo con me?! Montalbano e’ un paese che mi ha invitato e ti assicuro che mi sento molto bene accetto e non è un paese mafioso. Sospetto che la mafia sia sopravvalutata.

O meglio spesso ci sopravvalutiamo noi… a loro di noi frega un cazzo.

Ascoltare storie fa parte del modo con cui voglio tirare su Trasformatorio: ascoltare tutti. Tutto e’ materia teatrale. Ascoltando si comincia a conoscersi. Non sono nessuno io per insegnare a chi vive al sud come si deve combattere la mafia. Odio questi cliché. Con realismo. A Montalbano ho avuto qualche problema di calli pestati a qualche signore con le sue agende sul castello, ma me ne sono gia’ scordato. Ho avuto soprattutto moltissimo aiuto dalle realtà locali. Gli anziani che ci hanno improvvisato una festa insegnandoci a fare la pasta al modo tradizionale, i vicini venivano a scambiare due chiacchiere, il caseificio e i ragazzi del paese chi ci hanno procurato persino le pentole per improvvisare la cucina o il carbone. Se poi ti riferisci a quel mio scritto iperbolico di anni fa sulla mafia ecosostenibile, be’ si tratta di un gioco. I malavitosi che ti bruciano la macchina per uno sgarbo li conosciamo e non sono amici nostri.

Qual è fra tutte l’iniziativa che più ti ha colpito quest’anno durante il Trasformatorio in Sicilia?

Il gruppo e’ stato magnifico. Calcola che non avevamo NULLA. Ne’ soldi, ne’ equipaggiamento. Nemmeno la cucina. Ma fantasia, buonumore e competenza a palate. E’ stato fondamentale. Siamo partiti dallo spazio vuoto, come insegna Peter Brook, e lo abbiamo popolato, organizzato, disegnato. Il lavoro del gruppo mi ha colpito moltissimo. E poi tutta l’estate ho visto fiorire ed evolversi progetti e collaborazioni iniziati a Trasformatorio. E’ stato di una bellezza quasi inquietante. Quest’anno la sfida è più impegnativa. Dobbiamo provare forme e immaginare percorsi, inventandoci, sulla base dell’esperienza fatta, cose diverse assimilabili in modo più organico. Vorrei che arrivassimo già ad avere un embrione di idea di spettacolo itinerante alla fine delle due settimane. Portarlo a finire in Olanda, tornare giù a fine estate e magari, con qualcosa che faccia venire voglia alla gente di uscire di casa per venirci a vedere.

Il concetto di Tempo e Malinconia per un Altrovista? E, eventuali antidoti?

La malinconia mi prende ogni tanto. Ad Amsterdam non ci si incazza spesso, e l’incazzatura, l’invettiva, sono il carburante del mio entusiasmo. Mi piace scrivere invettive. Però ho anche la meraviglia. E la meraviglia, il momento in cui non hai che dire, solo occhi, orecchie, lingua, quello e’ l’antidoto per ogni malinconia. Quanto al tempo, non esiste. E’ una finzione. Esiste l’irreversibilità, la dissipazione, l’entropia, la vecchiaia, il sonno. L’errore. L’errore esiste. Non il tempo.

Quando e dove credi finisca un Altrove?

Gli Altrove non finiscono, sfumano gli uni negli altri. Siamo di carne e sangue e siamo fragili. E’ così facile spezzarci. Se il grande McMurphy (il film è “Qualcuno volò sul nido del cuculo”) finisce sotto il bisturi della lobotomia, l’Altrove passa a Grande Capo, che sfonda il muro e se ne va via. Il film continua, e’ eterno, siamo noi imperfetti che non ne vediamo più. L’Altrove penso che sia fatto di gesti che rendono la vita piena. Almeno sulla vita, sulla propria vita, non si può fare gli oltranzisti? Assumendosi interamente il prezzo delle proprie scelte ovviamente. Un po’ il contrario della cultura del piangersi addosso e cercare di fottere l’osso ad un’altro che va per la maggiore da vent’anni da voi. Fare a meno delle ossa e tutto il resto non è difficile…

Un look, un abito ideale per un Altrovista? E, una stoffa che identifica un Altrovista? Ed inoltre, un accessorio… Che ne so, lo zippo fa troppo beat, l’eschimo è negli armadi impolverati di Guccini, il Fez è ancora troppo di moda… dimmi tu un accessorio Altrovista.

Domanda inaspettata! Sono il meno indicato a dare indicativi di moda. Non mi sono mai potuto permettere lo stile che si confà ai miei gusti. Io vestirei di tweed un giorno e in abbigliamento da trekking il giorno dopo. Di fatto passano le mode e io sto’ sempre uguale. Ero grunge prima di Seattle e sono rimasto così. Sono al terzo revival (sghignazza). Per l’accessorio invece non ho dubbi: il coltello a serramanico, buono per affettarsi la mela o il salame. Aggiungerei un taccuino finto moleskine comprato al supermercato per 4 euro e la matita fregata all’ikea, anche se scrivere a matita e’ un peccato capitale.

Abbandoniamo i letti e i divani! Abbracciamo un erotismo, una sessualità ecosostenibile. Che ne pensi? Ad esempio a Central Park c’è una zona dedicata all’Enjoy the silence… io immagino un central PORK in stile Enjoy the sex. Oppure: Blowjob in silence.

Stare all’aperto e’ veramente erotico. Per questo e’ proibito fare sesso all’aperto nella natura. L’erotico e’ proibito, per questo ci interessa. E nella natura le occasioni quasi masturbatorie sono infinite. Camminare in un bosco con la luna come se si fosse al buio in casa propria, come una bestia, senza paura. O portare 100 persone in giro di notte in un palazzo vuoto al buio, con la neve che scende fuori, o con il vento o la pioggia. Questo lo trovo intrinsecamente erotico. Camminare a piedi nudi nel fango. O sull’erba. Come leccare via una goccia di vino dalla mano di una donna che si e’ vista dieci minuti prima. Ecco, forse mi interessano tutti i modi possibili per traslare la sessualità. Dopo questo delirio di rappresentazione fittizia, da TUPPORNO credo che l’erotico vero si recupera solo uscendo dal gioco del sublimare/desublimare ed entrando a corpo pieno nella trasformazione… tutto il resto e’ nessuno. Acqua asciutta.

Hai mai pensato al suicidio?

Si ma lo escludo. Un po’ come lavorare per la pubblicità. Per ora tutto bene, per ora tutto bene…

Il tuo volto mi ricorda un po’ il Caravaggio! Sarà la barba lunga, i capelli, il taglio degli occhi… Trovi affinità caratteriali con il suo temperamento irruento e violento?

Mi piacerebbe portare la spada e il pugnale sotto il mantello e girare di notte e sentirmi pericoloso. Potremmo andare assieme! Come compagno di bevute non sono un granché ma racconto storie buone. Non credo che fotterei il ragazzino riccétto, quello è il cuncubino del cardinale, ne’ ruberei l’amasio a un cavaliere di malta. Errore che costa caro… Non ho ne’ i gusti ne’ il coraggio del Merisi. Però attento alla virtù di tua moglie!
Quanto alla violenza e’ una reazione debole. Ti porta i guai. La forza però e’ un’altra cosa. Non dobbiamo fare finta di conoscere la violenza e di possedere la forza. Sono due cose che vanno fatte davvero. Conosciuta la prima e conquistata la seconda. Non e’ facile e e’ alquanto pericoloso. Il teatro e’ un modo per conoscere. Il teatro e’ Dionisio, e le sue baccanti sono molto pericolose per il non iniziato alla danza. Ricorda Gina’, quelle ti squartano.

Nella foto di copertina di Facebook sei in ginocchio e urli in balia di un forte vento… Mettiamo il caso che il vento faccia da messaggero. Chi è il destinatario?

Quel messaggio arrivò.

A 1750 km di distanza. Dritto come una coltellata al cuore. Quel giorno mi misi apposta in condizione di morire per caso. Ero sul tetto di un grattacielo di 17 piani, che abitavamo in 4, ai margini di Amsterdam. Un’occupazione temporanea diciamo, legale, per evitare quelle vere, un pre-Trasformatorio. Un amico americano, Michael, mi chiese di giocare con i gabbiani che facevano il nido li sopra. Uscii. Loro difendevano i nidi e urlavano. E io cominciai a ballare vicino al bordo. Soffro terribilmente di vertigini e mi resi conto che anche se stavo “recitando” rischiavo di finire giù davvero. Mi sono seduto e mi sono messo a meditare in silenzio. Michael riprendeva e una tedesca bella come una dea scattò la foto. Non avevo la minima idea di cosa stessi facendo ma emisi un respiro fino al fondo, come fosse l’ultimo. Non e’ un urlo, non esce suono, ma l’ultima bolla d’aria dai miei polmoni. Qualche settimana, il giorno del mio 42esimo compleanno ho raggiunto la punta di quel coltello e sono morto ancora. In altre condizioni. Non l’ho fatto più, una morte rituale basta, due sono troppe tre ridicole. E ora eccomi qui.

Finito lo shooting, te la sei poi scopata questa Dea tedesca?

No, stava col suo uomo. Ma è mia amica su Facebook…

Un pesce fuor d’acqua può trovare dimora in un tumbler di Whisky?

Prego si accomodi…

Bonelli… Lei ci è o ci fa?

Marinetti nel ’26 presenziò a una cerimonia per il decennale della morte del suo fraterno amico Boccioni. Disse che la più grande prova del genio di Boccioni fosse l’elasticità. Sono d’accordo con lui. Bisogna essere elastici, flessibili, ricoprire il reale, incamerare energia con le tensioni e incanalarle con violenza verso un punto. A costo di rompersi, esplodere.

Ci sono e ci faccio. E l’unica cosa importante e‘ il “ci”: esserCI.